Non esiste un divieto assoluto per il lavoratore di svolgere attività lavorativa durante il periodo di malattia purchè il datore di lavoro non dimostri una delle le seguenti condizioni:
* che il lavoratore abbia simulato la malattia al fine di assentarsi dal posto di lavoro per poter svolgere un lavoro diverso;
* che il lavoratore abbia lavorato durante l’assenza con altre imprese concorrenti rispetto a quella di cui è dipendente;
* che il lavoratore abbia svolto attività incompatibili con la natura della malattia che gli è stata certificata dal medico;
* che il lavoratore svolga un’attività che ne pregiudichi la guarigione, costringendo ad un estensione del periodo di assenza.
Ciò premesso, la Corte di Cassazione, con Sentenza n. 7641 del 19 marzo 2019, ha stabilito che un lavoratore in malattia, sorpreso da un’agenzia investigativa a lavorate per conto di terzi, possa essere licenziato per giusta causa dal datore di lavoro, qualora la prestazione possa ritardare la ripresa del servizio da parte del dipendente.
Il dipendente che svolge altra attività di lavoro durante lo stato di malattia può infatti violare gli obblighi contrattuali di diligenza e fedeltà nei confronti del datore di lavoro, oltre ai doveri generali di correttezza e buona fede.
Nel caso di specie, la Suprema Corte ha respinto il ricorso del lavoratore licenziato in quanto questi aveva svolto, durante il periodo di malattia, attività lavorative considerate pesanti, come la guida di automezzi e il carico e scarico di merci, considerate incompatibili con la prescrizione medica. Il dipendente è infatti tenuto ad adottare, durante la malattia, comportamenti idonei alla guarigione nei tempi prognostici stabiliti.
Ancora una volta la Corte di Cassazione ha confermato il principio secondo cui le investigazioni private costituiscono un valido strumento con cui le aziende possono accertare il comportamento dei dipendenti sui quali gravi il sospetto di usufruire indebitamente dei periodi di malattia o infortunio.