Al fine di dare corpo al principio di uguaglianza e di non discriminazione dei lavoratori con disabilità, promuovendone l’inclusione e dunque legittimando il licenziamento per giustificato motivo oggettivo solo quale extrema ratio, l’obbligo per il datore di lavoro del ragionevole accomodamento è stato introdotto con l’art. 2, comma 4, della Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità del 13 dicembre 2006, ratificata in Italia con Legge nel 2009, che parla di “modifiche e adattamenti necessari ed appropriati che non impongano un onere sproporzionato o eccessivo adottati, ove ve ne sia necessità in casi particolari, per garantire alle persone con disabilità il godimento e l’esercizio, su base di uguaglianza con gli altri, di tutti i diritti umani e delle libertà fondamentali”.

Nel 2015 c’è stata la modifica alla Legge n. 68 del 1999 che prevede il ragionevole accomodamento come misura per colmare l’assenza di azioni dedicate all’inclusione lavorativa delle persone con disabilità: «Attraverso un accomodamento ragionevole si rende pertanto possibile ad un lavoratore con disabilità, qualificato per una determinata posizione lavorativa, di neutralizzare lo svantaggio derivante dal suo stato di salute, dandogli l’opportunità di candidarsi al posto di lavoro e di svolgere l’attività lavorativa in condizioni di uguaglianza con gli altri lavoratori dipendenti».

Si pensi alle persone costrette in sedie a rotelle che non possono accedere ai servizi igienici in quanto non vi sono le necessarie rampe di accesso etc.

L’obbligo di ragionevole accomodamento di lavoratori affetti da disabilità si differenzia dunque dall’obbligo di ripescaggio (repechage).

Disabilità e ragionevole accomodamento